Quanto sono importanti gli occhi?
Quanto il nostro stile di vita ci spinge ad utilizzarli sempre più.
E quanto poco ci prendiamo cura di loro?
Con la vista esercitiamo controllo e come risultato di rado riusciamo ad avere uno sguardo rilassato e aperto questo a causa delle contratture croniche dei muscoli che avvolgono i bulbi oculari e delle tensioni che si strutturano nell’area che li circonda. Ma gli occhi sono anche il punto terminale del sistema nervoso e non possiamo pensare di prenderci cura di loro se non attraverso l’osservazione del corpo intero. Gli occhi infatti rispecchiano lo stato di salute della persona, e la luce che li attraversa, è una delle forme energetiche che ci nutre e ci da vitalità.
Ci avete mai pensato, è l’unica parte del corpo senza pelle, per questo riveliamo i nostri sentimenti più profondi, le nostre passioni, le nostre paure e sono la finestra sulla nostra anima. Sono l’organo che ci permette di vedere e osservare il mondo che ci circonda e di relazionarci con gli altri. La loro forma, la dimensione e le tensioni che si sono strutturate, indicano caratteristiche precise del nostro essere.
Ci hanno convinto che la vista non può migliorare, che l’unica soluzione per i difetti visivi siano gli occhiali, stampelle per la vita, ma questa è una menzogna. La vista cambia in continuazione e noi possiamo migliorarla e così facendo “aprire gli occhi” sul mondo e su di noi favorendo una rilevante trasformazione caratteriale.
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Chi era William Horatio Bates?
Scopriamo qualcosa di più su uno dei medici più censurati del XX secolo
Bates era un oftalmologo americano nato nella seconda metà dell’Ottocento, che divenne molto famoso soprattutto intorno agli anni Venti del secolo scorso. Come medico, era un grande ricercatore con molteplici interessi: per esempio pochi sanno che fu lui a scoprire l’adrenalina. Fu anche tra i primi a usare uno strumento capace di misurare la rifrazione e che permette a tutt’oggi di rilevare i gradi di miopia momento per momento. Questo gli consentì di verificare che i difetti visivi si accentuano e diminuiscono in relazione a specifiche situazioni di stress, sforzo, fatica o disagio e che quindi, quando le persone cominciano a rilassarsi, quegli stessi disturbi possono migliorare notevolmente, se non addirittura scomparire.
Questo andava contro la credenza di base, tuttora estremamente diffusa, secondo la quale i problemi della vista non possono regredire, un luogo comune fortemente limitante perché chi ne è convinto non solo non cercherà di fare nulla per migliorarli, ma se anche dovesse sperimentare esperienze di evidente progresso, magari dopo una vacanza o dopo aver passato qualche giorno senza occhiali, tenderà a non riconoscerlo. La vista, in realtà, oscilla moltissimo: se ho digerito male, se ho litigato con qualcuno, se sono stanco o stressato dopo una dura giornata di lavoro, vedrò peggio del solito.
Un oftalmologo visionario
Laureato in medicina e chirurgia alla Cornell University, William Horatio Bates nel 1919 pubblicò la prima edizione de Vista perfetta senza occhiali, con l’intenzione di riformare l’oftalmologia canonica provando a convincere i suoi colleghi ad abbandonare le ricerche, già molto sviluppate all’epoca, su lenti, interventi chirurgici e ottica, per rimettere al centro del processo la persona in una visione olistica ante litteram.
Bates comprese che più una persona è consapevole del proprio atteggiamento, dello sforzo e delle effettive capacità e possibilità di rilassarsi, di lasciare andae le tensioni psico-neuro-muscolari, come diremmo in bioenergetica, tanto più ampio diviene il suo recupero.
In pochi anni riscosse molto successo ma i suoi insegnamenti furono anche estremamente controversi. Dopo la morte di Bates il lavoro fu proseguito dalla sua assistente, Margaret Corbett, che tra gli altri aiutò il noto scrittore Aldous Huxley, affetto da importanti disturbi visivi, a riacquistare una vista normale senza occhiali.
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Durante la 2° Guerra Mondiale, Corbett fu processata con l’accusa di promulgare un metodo antiscientifico e di dubbia efficacia, e tacciata di esercitare la professione medica senza averne i titoli: Huxley attraversò l’Oceano per andare a testimoniare in suo favore al Tribunale di New York contribuendo, insieme a un’imponente mobilitazione dell’opinione pubblica, alla sua assoluzione.
In Italia le prime notizie riguardanti il metodo Bates giunsero negli anni Cinquanta ma bisognerà aspettare l’inizio degli anni 2000 per avere associazioni di insegnanti capaci di divulgare i principi con corsi, conferenze e seminari.
Uno di questi è stato Marco Cagnoli.
Dopo aver sperimentato per la prima volta queste pratiche in un training di Osho Rebalancing in India, ne rimase talmente colpito da decidere di partecipare all’intera formazione.
Gli educatori visivi di oggi insegnano ad usare gli occhi in modo analogo a come si potrebbe insegnare a parlare una lingua straniera o a ballare lo swing, integrando mente e corpo, sicuri del fatto che non si possa migliorare la vista senza prendersi cura dell’intero sistema corpo. Aiutando le persone a diventare consapevoli delle proprie cattive abitudini visive e a cambiarle, cosa assolutamente non semplice, e questo spiega perché il metodo Bates, di per sé estremamente efficace, non sia altrettanto diffuso.
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I fondamenti
L’approccio di Bates colpisce per l’immediatezza e la naturalezza delle intuizioni su cui si fonda, che emergono nei suoi tre principi fondamentali.
Il rilassamento
Il rilassamento è tra tutti il più frainteso perché per rilassamento non intendiamo semplicemente stare sul divano a guardare la televiiine ma un processo di allentamento delle tensioni che implica esser presenti a sé stessi e disponibili ad ascoltarsi per espandere la percezione del proprio corpo. Come nella Pratica bioenergetica per “lasciare andare” l’energia intrappolata nelle tensioni, serve consapevolezza e prendere contatto con le sensazioni e le emozioni intrappolate in questi blocchi.
Il movimento
Il secondo principio è il movimento, e un’enorme importanza è data al coordinamento. Bates notò che tutte le persone affette da disturbi visivi hanno la tendenza a non muovere gli occhi e a fissare lo sguardo, frenando ogni movimento spontaneo e questo atteggiamento si estende anche ad altri campi, come quello fisico, emotivo e cognitivo. Chi ha problemi visivi sembra alla costante ricerca di un ambiente “sicuro“, dove le cose cambino il meno possibile e le attività non siano particolarmente intense. L’ambiente più stabile finisce molto spesso per essere il proprio pensiero, forgiato su incrollabili certezze e inamovibili punti fermi.
Queste persone hanno, in effetti, occhi poco mobili, scarsamente luminosi e piuttosto tesi.
Inoltre, ai disturbi della vista si accompagnano in genere problemi motori, posturali e una difficoltà di coordinazione generale. Ma possiamo anche vederla dall’altra parte: avere cattive abitudini di sedentarietà o di postura, non essere radicati, influenza negativamente la qualità della nostra vista.
Quando il metodo Bates incontra Wilhelm Reich
Charles Kelley fu uno dei primi a fondere le scoperte di Wilhelm Reich con quelle di Bates.
Filosofo della scienza, esploratore e ingegnere della forza vitale nonché psicologo sperimentale, prima ancora che leggesse Reich, entrò in contatto con il concetto del legame corpo/mente leggendo il libro di Aldous Huxley The Art of Seing.
Kelley spiega che era molto miope: “Quando me ne andai dall’esercito, nel 1946 c’era un differenza così netta fra i mie due occhi, che ci volevano lettere gran di il doppio per vedere da quello più miope”. Huxley nel suo libro citava il metodo Bates, dicendo che aveva migliorato la sua vista. Kelley riuscì a scovare l’insegnante di Huxley a Los Angeles, Margaret Corbett, e anche la sua vista migliorò enormemente. “Questo confermò ciò che avevo sospettato già durante le mie letture: che l’establishment spesso sbaglia. I dottori ti dicono che non possono migliorare la miopia e invece tu la puoi migliorare. Questo confermava che uno deve risolvere queste cose per conto proprio”.

Kelley divenne insegnante del metodo Bates, e nella scuola della Corbett venne in contatto con altre
discipline psicosomatiche. Ebbe delle sessioni del metodo Alexander, una disciplina sviluppata
dall’attore australiano F.M. Alexander all’inizio del secolo; seguì delle lezioni sulla voce con Louisa Strong; entrò in psicoterapia con Tony Suddich, uno dei fondatori del Movimento per il potenziale umano.
Charles Kelley che, oltre ad essere un brillante terapista neo-Reichiano, divenne anche insegnante del metodo Bates.
L’idea di pulsazione vitale introdotta da Reich, portata avanti dalla Bioenergetica di Lowen, e sviluppata da Kelley, è di fondamentale importanza anche nel lavoro con gli occhi, essendo presente questa costante ricerca di espansione e contrazione. Questo movimento di apertura e chiusura è assolutamente naturale e per questo tendo a non considerare i disturbi visivi come difetti ma piuttosto come un particolare modo di rispondere e organizzare il rapporto con il mondo che finisce per limitare la propria libertà se è troppo rigido.
Dov’è possibile facciamo in modo che tutti i movimenti abbiano un andamento pendolare, come per esempio quelli saccadici dell’occhio che partono, accelerano e decelerano, proprio come farebbe un pendolo, nella frazione di pochi centesimi di secondo.

Si è sempre saputo dell’esistenza delle saccadi ma si è cominciato a conoscerle meglio dal 1956: i loro movimenti sono il salto che l’occhio fa da un punto di fissazione o di interesse a un altro. Tradizionalmente si pensava che nel mezzo ci fosse un vero e proprio spazio vuoto, in realtà i movimenti compiuti dall’occhio sono tantissimi, fino a 60/80 al secondo, circa 3mila al minuto. Adesso questi movimenti sono la base dell’esplorazione e nel lavoro sul tratto oculare e li incoraggiamo moltissimo: si tratta di qualcosa di completamente inconsapevole quindi non si può indurli intenzionalmente ma la tensione li riduce notevolmente, quindi allentando i blocchi si possono incrementare, ci sono forti attinenze con la cosiddetta vibrazione bioenergetica e la kundalini dello yoga.
Quando alla di una sessione di metodo Bates e Bioenergetica gli occhi delle persone sono più luminosi e vivi, il che significa che si stanno muovendo molto di più, anche grazie a quei movimenti saccadici che consentono allo sguardo di riaprirsi verso la realtà.
La centralizzazione
Un altro elemento di base del metodo Bates è la centralizzazione, che merita un discorso a parte.
Nella retina, che è la parte più sensibile dell’occhio, c’è una zona, detta fovea, dove si concentrano tutte le cellule in grado di vedere nitidamente. La qualità di messa a fuoco di un’immagine dipende dalla nostra capacità di muovere rapidamente gli occhi per raccoglierne i diversi particolari in tante micro immagini nitide e focalizzate che poi il cervello metterà insieme componendone una unica e dinamica. Se questi movimenti sono in qualche modo impediti o ridotti, l’immagine che arriverà al cervello sarà per così dire a bassa definizione. Questo accade perché chi ha disturbi visivi tende a fissare l’immagine con occhi tesi e poco mobili, provando a metterla a fuoco tutta insieme, ma questo è impossibile e nel tentativo di farlo lo sguardo rimane continuamente sfocato. Inoltre, reiterando questa cattiva abitudine, negli anni si perde la capacità di concentrare l’attenzione al centro del proprio campo visivo, alimentando il meccanismo opposto alla centralizzazione, la diffusione.
Memoria e immaginazione
Memoria e immaginazione sono gli altri due elementi fondamentali del processo visivo. Bates ha insistito molto sul concetto che senza memoria perfetta non può esserci vista perfetta, spiegando come l’immaginazione possa in effetti aggiustare le limitazioni e le aberrazioni della vista. La memoria mette ordine, conferisce significato alle cose che vediamo, per esempio ci consente di leggere le lettere che compongono le parole di un libro ricordandone il senso, altrimenti vedremmo dei semplici segni privi di contenuto. L’immaginazione ci consente di ricucire, riaggiustare le immagini per dar loro un certo ordine.
Vedere, dunque, è essenzialmente ricordare e costruire significati. Sappiamo bene, però, che non si ricordano solo oggetti, luoghi e contenuti: per la maggior parte del tempo proiettiamo sulla realtà i nostri vissuti emotivi, che hanno una rilevante ripercussione sulla nostra vista.
La maggior parte delle persone davanti alle tabelle di misurazione normalmente usate per le visite oculistiche tende ad assumere un atteggiamento di tensione che finisce per influenzare l’esito del controllo. Questo accade perché molti di loro ricordano, anche inconsapevolmente, le precedenti esperienze di esami legati a emozioni negative, specie chi ha ricevuto numerose diagnosi di difetti visivi, magari peggiorati nel tempo, e ha per anni tentato di correggerli.
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Le componenti psico-emotive dei disturbi visivi
Ma è possibile individuare un legame tra disturbi visivi, atteggiamenti psico-emotivi e postura corporea?
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La stragrande maggioranza dei miopi è in genere tranquilla e introversa, al contrario degli ipermetropi, di norma molto estroversi e attivi. Alcune persone miopi trasformano questa forma di introversione in una specie di insicurezza, che talvolta è alla base del disturbo che li caratterizza. Potremmo dire che miopi e ipermetropi siano come due facce della stessa medaglia, ossia rispondano in modi diametralmente opposti alla realtà che li circonda.
Da un punto di vista fisico ed energetico con la miopia si porta l’energia verso l’interno: si vede bene solo da molto vicino ed è come se si avesse una bolla attorno, con confini netti. Gli ipermetropi, invece, hanno la tendenza a scappare dalle situazioni, in genere si annoiano molto rapidamente e sono alla continua ricerca di cose lontane, sempre altrove rispetto a dove si trovano nel presente, pronti al movimento e all’espansione, proiettati più all’esterno che all’interno.
Da un punto di vista posturale, sempre parlando in termini generali, i miopi hanno la tendenza a muoversi poco, come se avessero paura di uscire dalla propria sfera di sicurezza, e questo li porta anche a respirare meno e a muovere pochissimo l’energia. La loro postura è generalmente collassata, con il petto incavato in avanti e il collo proteso insieme allo sguardo, come nel tentativo di afferrare le immagini. C’è, al contempo, la tendenza a estraniarsi dal mondo ritirando le proprie energie all’interno e il desiderio di ancorarvisi protendendosi verso le immagini che si vogliono mettere a fuoco.
L’ipermetrope è, invece, una persona che tende a spostare continuamente lo sguardo e il resto del corpo non riuscendo mai a star fermo. Fisicamente potrebbe avere una postura iperestesa, con il mento e il collo ritratti all’indietro e spesso anche le spalle assumono quella posizione. Essendo molto più mobile e attivo del miope, potremmo dire che il corpo di un ipermetrope tende ad avere articolazioni più flessibili ed elastiche, ma i suoi movimenti sono disarticolati e poco armoniosi e questo potrebbe causare a lungo andare tensioni muscolari.
Nell’applicazione pratica, è estremamente importante che sia l’operatore che progressivamente il cliente, vengano considerati e portati a piena consapevolezza questi aspetti psico-emotivi per risolvere al meglio i blocchi che alterano anche la visione.
A livello energetico e fisico, per esempio, con un miope l’intervento mirerà, specialmente all’inizio, al recupero del piacere del movimento. Si tratta di persone che non amano assolutamente essere spinte o forzate, quindi il nostro incoraggiamento verterà sul valorizzare il piacere della scoperta, mettendo in luce risorse interne che magari non pensavano neanche di avere, evitando pressioni o insistenze che potrebbero far scattare una reazione di disagio e blocco. Espandendo il movimento, il sangue tornerà a pulsare dal nucleo verso la periferia del corpo, sviluppando calore e dando maggiore ampiezza al respiro: può essere un’esperienza molto gratificante ma è necessario arrivarci gradualmente rispettando i loro tempi.
Nel caso di un ipermetrope, invece, all’inizio la cosa più importante è aiutarlo a introdurre una misura di rilassamento e armonizzazione nei suoi schemi motori, che sono in genere molto convulsi e poco organizzati, perché derivano perlopiù da un’attivazione simpaticotonica. L’errore che si può fare con gli ipermetropi, al contrario dei miopi, è insistere sulla lentezza e sulla quiete: gli esercizi più incentrati sul rilassamento, come il palming o il sunning, fondamentali per il metodo Bates, andranno quindi introdotti solo dopo una prima fase di gioco e di scarico energetico attraverso un movimento più attivo.
Ma cosa accade, invece, nel caso dell’astigmatismo?
Questo particolare difetto visivo dipende da una malformazione della cornea che, invece di essere perfettamente rotonda, ha una forma ellittica. Questo è legato quasi sempre a uno squilibrio muscolare, che il più delle volte crea forti tensioni nelle fasce dorsali. Così, uno degli elementi fondamentali per lavorare con le persone astigmatiche è la coordinazione tra il movimento oculare e quello corporeo, coinvolgendo molto l’uso delle mani. Sul piano psicologico, l’astigmatico è legato a una condizione di costante indecisione e ambivalenza e alla difficoltà di scegliere. Per questo, in genere, si tratta di persone piene di dubbi ma anche di opportunità, che raramente diventeranno fanatiche.
Che ruolo ha il respiro?
Ai disturbi visivi si accompagna sempre un blocco legato al respiro.
Nel caso della miopia, per esempio, lo schema di base è bloccare il respiro e mantenerlo molto in superficie, con una difficoltà maggiore nell’inspirazione: non si riempiono mai completamente i polmoni. Nell’ipermetropia, al contrario, la maggior difficoltà è nell’espirazione: si tende a restare con l’aria nel petto senza mai svuotarlo del tutto.
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